Il cuore gentile di Sofia

Il cuore gentile di Sofia

Sofia ha 22 anni e vive a Cesena insieme al suo ragazzo, Gioele, e al loro gatto Aristide detto “la peste”. L’abbiamo incontrata per conoscere la sua storia. Un’altra storia di coraggio e di speranza, che ci invita a riflettere su come i nostri ragazzi, giorno dopo giorno, debbano spesso combattere la propria lotta “in silenzio”. Quella di una disabilità “nascosta” legata ad una patologia cronica invalidante che a volte non è possibile riconoscere subito.

 

Sofia, come hai scoperto la tua cardiopatia?
Sono nata il 18 gennaio del 2000 all’Ospedale Bufalini di Cesena. I medici hanno capito subito che qualcosa non andava e ci hanno mandato al Policlinico di S. Orsola, dove al terzo giorno di vita sono stata sottoposta ad un cateterismo cardiaco. La diagnosi è stata quella di cardiopatia ipertrofica non ostruttiva”.

A che età hai iniziato ad avvertire i primi sintomi?

“A 12 anni ho iniziato a stare male: non riuscivo a fare le cose più banali, come camminare, mi sentivo sempre stanca. A Bologna scoprirono anche che soffrivo di tiroide, ma nonostante l’Eutirox, non riuscivo ancora a stare meglio. Così nel 2012 sono stata ricoverata per oltre due settimane, mi hanno fatto un secondo cateterismo”.

A quanti anni hai messo il defibrillatore sottocutaneo?
“Era il 2016, avevo 16 anni. Ho avuto un’altra ricaduta, ricordo che non stavo per niente bene, c’erano dei giorni no in cui non mi riusciva fare nulla. Il dott. Ragni,  il cardiologo che mi segue, mi invitò a salire a Bologna. Feci una risonanza, iniziai una cura con dei nuovi farmaci e mi comunicarono che da lì in avanti avrei dovuto vivere con un defibrillatore sottocutaneo. A casa ho un connettitore che comunica con l’Ospedale una volta l’anno: i medici scaricano i miei dati, controllano che non ci siano attività strane. Fino ad ora non si è mai attivato: so che potrebbe capitare e per questo motivo ho informato amici, familiari e fidanzato rispetto a come si devono comportare se questo dovesse accadere”.

 

Sofia è una ragazza dolcissima, che trasmette serenità e gioia di vivere. Quando le abbiamo chiesto “com’è vivere con un S-ICD?”, lei ci ha risposto “tutto sommato tranquillo!”.

“Non posso fare sforzi eccessivi, certo - sottolinea - . Non posso correre, ma per il resto non mi sento di rinunciare a nulla”.

 

Come hai vissuto gli anni della tua infanzia, a contatto con la tua cardiopatia?
“Mia mamma mi ha sempre fatto vivere la malattia in modo molto sereno, con un buon ricordo dell’Ospedale. È stata molto brava. Andare ai controlli in Ospedale era una gioia: ricordo che mi accompagnavano mia zia e mia nonna, al termine della visita magari ci scappava anche un regalino. Era comunque un bel momento, perché potevo trascorrere del tempo con mia mamma”.

Quando e come hai conosciuto l’associazione Piccoli Grandi Cuori?

“Durante un ricovero ho conosciuto Sara, la psicologa, che è dolcissima. La rivedevo ogni volta che tornavo alle visite, dapprima con mia mamma ed ora che sono maggiorenne, da sola. Quando andavo con mia mamma ai controlli spesso mi fermavo a parlare nello studio dell’associazione, al Policlinico. Purtroppo non sono mai riuscita ad andare alle feste dell’associazione, ma la seguo sempre in ogni cosa che fa!”.

Che cosa ne pensi del supporto psicologico?

“Credo sia indispensabile, soprattutto in un contesto come quello ospedaliero. Io ne ho sempre usufruito e continuo a farlo anche tutt’ora. I ragazzi ne hanno bisogno, ed anche per i familiari è molto importante: le persone che vivono intorno al paziente, spesso soffrono più del paziente stesso. A volte in Ospedale mi è capitato di vedere mia mamma stare più male di quanto non stessi io. Per questo motivo è importante, per il genitore e per chi si avvicina al paziente cardiopatico, avere un punto fermo e sicuro per potersi confrontare e sfogare. Il percorso psicologico fuori e dentro il ricovero è molto importante”. 

Ti è mai pesato il fatto di non poter correre o fare sport?

“No. E poi posso camminare e andare in bici, quindi il modo di fare attività fisica c’è.

Essendo molto sintomatica ho una resistenza minima agli sforzi”.

Hai altre limitazioni, oltre allo sport?

È sconsigliato prendere la pillola anticoncezionale, fare tatuaggi o piercing. Per il resto vivo la mia vita normalmente, sono stata anche sul deltaplano, quando me lo ha proposto mia sorella ho pensato “e quando mai mi ricapita”? Spesso i medici mettono le mani avanti, com’è giusto che sia, poi sta alla persona, e alla sua coscienza, decidere. Convivo con il mio problema al cuore da quando sono nata e ho imparato a conoscermi molto, a capire che cosa mi fa bene e che cosa no, so sempre come comportarmi anche di fronte alle situazioni nuove e se mi sento di fare una cosa senza mettere a rischio nulla, la faccio. Per fortuna posso consultarmi con il dott. Ragni, che è il mio angelo. Ogni qual volta ho un dubbio, o devo farmi rinnovare il piano terapeutico, chiedo a lui e se non è disponibile mi rivolgo al Reparto”.

 

Mentre racconta la sua storia, Sofia nomina tantissime volte la sua mamma, Enrica.

 

“Crescendo mi sono resa conto, anche con il percorso psicologico che ho fatto, di come i ricoveri e i controlli in ospedale abbiano consolidato il legame con mia madre. Abbiamo un rapporto molto forte, quasi simbiotico a volte. Ora che sono via di casa e vivo con il mio ragazzo mi manca tantissimo”.

Quando hai iniziato ad andare alle visite da sola?

“Quando frequentavo l’Università a Bologna, così mia mamma poteva evitare di prendersi un permesso dal lavoro per accompagnarmi. L’ospedale era a 20 minuti a piedi da casa mia, mi facevo una bella camminata e andavo: essere vicina al Policlinico mi faceva sentire davvero tranquilla. Un giorno, ad esempio, mi accorsi che avevo esaurito le medicine. Ho contattato uno degli infermieri, che mi ha invitata a recarmi in Ospedale e il dott. Ragni, che subito mi ha un po’ sgridata, mi ha prescritto subito la ricetta. A questo Reparto e ai medici ed infermieri sono davvero tanto, tanto legata”.

Quali sono le difficoltà che incontri, o che hai incontrato, nel tuo percorso di crescita?

“La difficoltà maggiore è quella di essere vista solo per la mia cardiopatia. Al biennio del Liceo, che coincide con il periodo in cui sono anche stata ricoverata in Ospedale, non mi trovavo bene con i compagni: i miei genitori mi hanno cambiato classe e incontrai una prof.ssa che fece trasferire la mia classe al piano terra. Con i professori ho avuto esperienze diverse: ricordo che quando ho iniziato a stare male, in terza media, il professore di ginnastica non mi credeva: dato che non ero mai stata male prima, anche per me era una situazione del tutto nuova che non sapevo come approcciare e a mia volta spiegare. A fine superiori accadde lo stesso, e mia madre se ne accorse: davanti ad un colloquio insieme a lei scoppiai a piangere e finalmente lì il prof. comprese la situazione. Oggi, che sono adulta, mi risulta comunque complicato raccontare la mia condizione nonostante sia importante informare chi mi sta intorno. Ho sempre il timore di essere considerata solo per la mia cardiopatia, e non voglio: perché noi cardiopatici siamo tanto, tanto altro”.

Incubo patente?

“Ce l’ho! Ho preso la patente tardi perché ho preferito aspettare e concentrarmi prima sulla maturità. Ho avuto problemi a prenderla anche perché sono molto piccolina, non arrivo bene al volante e non vedo benissimo, per via di una sindrome correlata. È stata una procedura molto burrascosa, ma alla fine ce l’ho fatta. Il problema principale ora è quello del rinnovo: il Reparto mi rilascia un certificato che devo portare alla visita, per via del defibrillatore, ma è un certificato che ha una validità ridotta come la visita stessa e quindi ogni anno devo rifare tutto. Conoscendo le tempistiche, ho già prenotato il rinnovo per il prossimo anno”.

Hai l’invalidità civile, Sofia?

“Sì, al 46 per cento. E il pass per invalidi”.

Come affronti la questione del lavoro?

“Crescendo ti tendi conto che ci sono anche aspetti negativi, situazioni rispetto alle quali non sei molto preparata. Quando le mie amiche hanno iniziato a fare la stagione al mare, io non ho potuto farlo. Con il mio problema al cuore non posso fare la cameriera, ad esempio, non posso portare pesi né correre. Quando sono venuta a vivere con il mio ragazzo mi sono iscritta alle liste di collocamento mirato, ho fatto la visita medica in commissione, ho fatto domanda per il servizio civile e mi hanno presa. La questione lavoro è davvero complicata”.

Che cosa chiedi per chi come te convive con una patologia cronica?

“Come ho detto prima vorrei non essere “ricollegata” solo al mio problema cardiaco. In generale ci vorrebbe più gentilezza, smettere di giudicare ed essere prevenuti, perché quando ti interfacci con una persona non sai mai quello che sta passando. Penso banalmente a quando utilizzo il pass parcheggio per invalidi: la gente mi guarda spesso male, come se non avessi alcun diritto nell’usufruirne. Non sempre le problematiche sono visibili e sotto gli occhi di tutti. E poi ci vuole il supporto psicologico: per aiutarci quando ci sono momenti di sofferenza, momenti in cui è più difficile anche solo apprezzare quello che si ha”.

 

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