Il cuore che sa amare: storia di Alessia

Il cuore che sa amare: storia di Alessia

Alessia è una delle nostre GUCH (l'acronimo con cui si indicano gli adolescenti e gli adulti cresciuti con una cardiopatia congenita).  All’età di 18 anni ha scoperto di avere una cardiopatia congenita, già in stato avanzato: è stato il nonno Fausto a capire che qualcosa non andava




Alessia aveva una coartazione aortica, un restringimento pronunciato dell’aorta, la grande arteria che esce dal cuore e distribuisce il sangue a tutto il corpo. L’abbiamo incontrata per conoscere la sua storia. Alessia ha dedicato una poesia alla nostra associazione, che è possibile scaricare e leggere in fondo all'articolo.  


Alessia, come hai scoperto la tua cardiopatia? 

“Ricordo che i miei genitori erano in vacanza con i miei fratelli, a Parigi, io non andai perché qualche settimana dopo sarei andata in gita di classe proprio in quella città. Quella settimana sono stata con i nonni: mio nonno Fausto, in particolare, veniva da anni difficili con problemi di salute importanti. Aveva un occhio clinico, insomma: così un pomeriggio, per caso, ha voluto provarmi la pressione e abbiamo scoperto che la minima era alta. Non era tranquillo, mi ha invitato a tenerla monitorata e a fare una visita di controllo. A 18 anni ho fatto la mia prima ecocardiografia al cuore di cui abbia ricordi: durante gli ultimi minuti di visita, il medico si è accorto che qualcosa non andava. “Qui c’è un problema” sono state le sue parole, mia mamma proprio non si aspettava una tale notizia”.

Fino a quel momento non ti eri accorta di nulla? 

Ho sempre praticato tanti sport, in particolare nuoto e danza. Con il senno di poi ho collegato tanti piccoli episodi; le avvisaglie c’erano state ma erano sicuramente molto difficili da cogliere, solo piccoli eventi sporadici che mai ho pensato di combinare insieme. Sei o sette mesi prima della scoperta partecipai alla gara di resistenza della scuola: arrivai penultima, su tutta la classe. Per me era strano, perché sono sempre stata una sportiva per eccellenza. Ci rimasi malissimo, mi arrabbiai con me stessa: ricordo che arrivai alla fine solo per orgoglio, ma la fatica era tanta. Non mi accorgevo di fare più fatica degli altri: per me era normale vivere in quella condizione. Il mio corpo aveva evidentemente trovato un equilibrio alternativo, in realtà il mio cuore si sforzava più del dovuto e per questo motivo la mia aorta si è dilatata nel corso degli anni. Il medico di Reggio Emilia che si è accorto del mio problema con l’ecocardio mi ha immediatamente indirizzata al dott. Andrea Donti del Policlinico di Sant’Orsola , che ora è diventato il direttore della Cardiologia Pediatrica e dell’Età Evolutiva. Era maggio del 2009: frequentavo il quarto anno del Liceo, avevo appena compiuto 18 anni. Mi anticipò subito che avrei avuto bisogno di un intervento”. 

Quando sei entrata in ospedale Alessia e che tipo di intervento hai avuto? 

“Era il 27 ottobre del 2009. Mi hanno impiantato uno stent, sono entrati in corrispondenza dell’inguine e attraverso un sondino sono risalti fino all’aorta per impiantarlo. Dopo l’intervento, che è durato 4 ore, sono stata ricoverata una settimana e successivamente ho trascorso una decina di giorni di convalescenza a casa”. 

Che ricordi hai di quel periodo? 

“Quando ero ricoverata al padiglione 23 mi sentivo “un pesce fuor d’acqua” perché intorno a me c’erano solo bambini piccoli e neonati. Mi sentivo diversa. Il giorno dell’intervento ricordo di aver aperto gli occhi verso sera, c’erano i miei genitori. Venivano spesso a controllarmi: ricordo il rumore del monitor che suonava, la mia mamma che mi guardava di continuo, il dolore fisico no, quello ormai l’ho dimenticato”. 

Sono trascorsi 23 anni. Chi è Alessia, dopo il 27 ottobre del 2009? 

“Sono una persona fortunata, perché ho avuto un’opportunità. Ci sono piccoli momenti della vita che mi rimandano a quel momento: credo di aver sviluppato una sensibilità diversa, sono più vulnerabile sotto certi aspetti, se devo fare uno sforzo fisico inevitabilmente ci penso. L’età adulta mi ha consentito di gestire bene il tutto, senza avere crolli emotivi. Diciamo che ho preferito essere “protagonista” anziché “spettatore”, se avessi dovuto vivere questa esperienza da sorella, ad esempio, sarebbe stato molto peggio. Sono convinta che questa situazione sia stata più dolorosa per i miei genitori: io mi sentivo come un atleta che doveva superare diversi livelli, per me è stato uno sliding doors”.
Qualcosa di imprevedibile che ti ha cambiato la vita? 

“Esatto. Il dott. Donti mi fece capire che avevo la possibilità di guardare avanti, quella fu la chiave per farmi affrontare questa situazione e la mia malattia. Mi disse: “So che in questo momento penserai di essere stata sfortunata, perché la cardiopatia congenita ti tocca e non c’è una ragione precisa, ma devi pensare che hai 18 anni, sei giovane e sei stata fortunata ad accorgertene in tempo per farci intervenire e salvarti la vita”. 

Com’era la tua vita prima e com’è la tua vita oggi?
Per anni, dopo la scoperta della mia condizione, non ho più fatto nulla. Ho smesso di praticare sport, mi sono dedicata allo studio mentre lavoravo come cameriera in una birreria. Ho capito di aver rischiato tanto: venivo da anni e anni di sport intenso, durante i quali mi proposero di fare agonismo, che ho sempre rifiutato perché non mi piaceva. Chissà, il mio cuore forse già sapeva. Dall’intervento continuo a prendere un farmaco in via preventiva per la pressione, per irrobustire le pareti dell’aorta, e devo sempre fare la profilassi dell’endocardite batterica per scongiurare il pericolo di batteri che potrebbero danneggiare il mio cuore. Il mio problema è stato risolto con l’intervento, ma devo chiaramente sottopormi ai controlli regolari al S. Orsola per monitorare lo stent e la dilatazione aortica. Vivo la mia vita normalmente, mi sono laureata in Ingegneria e oggi lavoro, svolgo attività fisica regolare anche se devo evitare i pesi e gli sforzi improvvisi. Faccio una vita normale insomma, ma se vado a un Parco divertimenti e c’è la giostra vietata ai cardiopatici, la evito volentieri anche se potrei”. 

Come è nata l’idea di scrivere la tua poesia? 

“E’ nata da un’idea semplice, che ho sentito il bisogno di condividere con l’associazione e con tutte le persone che mi sono state vicine. A maggio dello scorso anno, a causa della situazione Covid, sono rimasta per un po’ in sala d’attesa e da sola, perché mia mamma non è potuta entrare. In quella zona il telefono cellulare non prende, mi sono guardata intorno perché non sapevo che fare: c’erano bambini, con le loro mamme, in attesa della visita come me. Ho tirato fuori il mio taccuino e ho iniziato a scrivere. Quando sono tornata a casa ho rimesso a posto i miei appunti e li ho trascritti al pc. Poi ho spedito una e mail all’associazione: la poesia traduce a parole emozioni e sensazioni che mi porto dietro da anni, in questi anni di controlli e visite ho incontrato e conosciuto diverse persone e ciascuna mi ha raccontato una storia diversa. Ho pensato tanto a come avrei vissuto questa situazione se fossi stata piccola. Sono dinamiche differenti, ma il cuore è sempre lo stesso”. 

E la tua famiglia come ha vissuto tutto quanto? 

“Avere accanto una famiglia che ti ama e ti supporta nelle difficoltà e negli imprevisti della vita è una vera fortuna, è stata la mia. Ho due fratelli più piccoli di me, Marco e Luca. Quando mi hanno operata erano in piena adolescenza: hanno capito che qualcosa non andava, mi vedevano girare con le stampelle per casa dopo l’intervento, stavo spesso al piano di sopra per non scendere e affaticarmi per le scale. Quando dovevo fare visite, sicuramente erano in pensiero e avevano probabilmente timore potesse succedere anche a loro quanto accaduto a me. Con i miei genitori non ho mai parlato apertamente di tutto quanto accaduto e dei miei stati d’animo: ho sempre cercato di farmi vedere forte, perché stessero tranquilli. Oggi lavoro, sono ingegnere e sono fidanzata da nove anni con Andrea. Dico sempre che Andrea è capitato nel momento giusto: ho avuto un po’ di tempo, prima di incontrarlo, per ritrovare me stessa e riacquisire equilibrio e serenità. Oggi vivo a Reggio Emilia, lavoro e gestisco casa. Domani? Chissà. Ogni tanto penso ad un’eventuale maternità: quando sarà il momento, mi piacerebbe avere il giusto supporto per affrontare la gravidanza e so che anche su questo, grazie all’associazione e ai miei medici, potrò contare”. 


CHI SONO I GUCH?
I GUCH (Grown Up Congenital Heart Disease) sono tutti i pazienti di età superiore ai 16 anni che hanno una cardiopatia congenita in storia naturale o già sottoposti a chirurgia correttiva o palliativa. Questa popolazione oggi costituisce circa i due terzi di tutti i pazienti con cardiopatie congenite. Una popolazione silenziosa ed in continua crescita, come spiega il prof. Gaetano Gargiulo, direttore dell’unità operativa di Cardiochirurgia Pediatrica e dell'Età Evolutiva del Policlinico di Sant’Orsola IRCCS a Bologna: “Ogni anno circa il 35% dei pazienti che ricoveriamo e sottoponiamo ad un intervento cardiochirurgico presso il nostro Centro di Cardiochirurgia e Cardiologia Pediatrica è costituito da pazienti GUCH. Siamo uno dei pochi Centri italiani che si occupa della diagnosi e cura, compreso il trapianto cardiaco, dei pazienti adulti con cardiopatie congenite e siamo il Centro GUCH di riferimento regionale”.






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