Costanza, nata due volte con il trapianto di cuore

Una testimonianza sul trapianto di cuore

Costanza, una testimonianza sul trapianto di cuore

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Una testimonianza sul trapianto di cuore

La cerniera del suo bellissimo abito cela il segno del suo nuovo inizio, della sua nuova vita.  
Fino a un anno prima, quando sono iniziati i primi sintomi e il lungo calvario verso il trapianto, Costanza ha condotto una vita normale, come quella dei suoi coetanei. 
Non conoscevo ancora la sua storia, ho pensato tanto alle domande che le avrei potuto fare durante l’intervista, ma alla fine non sono riuscita a preparare nulla. Sapevo, sentivo che sarebbe stata una lunga chiacchierata densa di emozioni e informazioni da trascrivere, di date e di dettagli medici relativi alla sua storia clinica. Quello che non sapevo, quello che non mi aspettavo, era che mi sarei trovata di fronte una persona che ha vissuto e vive il suo percorso di cura con estrema consapevolezza. Prima di incontrarla mi sono confrontata con Franca, una delle psicologhe dell’associazione Piccoli Grandi Cuori, che insieme a Sara ed Enrica l’ha seguita durante il suo lungo ricovero e nel percorso del trapianto. 
Costanza, il cui nome deriva dal greco e significa “splendidamente solare”, ha portato il sole nella mia giornata: di lei mi hanno colpito la delicatezza, la pacatezza, la resilienza, termine tanto abusato quanto mai espressivo della sua persona. Con estrema razionalità abbiamo percorso insieme tutte le tappe della sua “prima” vita: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità, lo sport, dal nuoto alla ginnastica artistica. 

Questa è la sua testimonianza sul trapianto di cuore.

La diagnosi di cardiomiopatia

“Tra i 10 e i 14 anni praticavo pallavolo: all’inizio era tutto un gioco, poi è diventata un’attività seria e abbastanza intensa, sentivo che qualcosa non andava ma non capivo cosa fosse; a volte ero in forma, altre volte facevo più fatica” – racconta Costanza. “A quell’età vuoi essere parte del gruppo, vuoi aiutare le tue compagne di squadra, non vuoi essere di peso. Pensavo, casomai ho mangiato poco, magari va così e basta. Ero molto testarda. Il mio allenatore di allora, avevo 14 anni, riconosceva che non ero così forte come le mie compagne di squadra ma comunque mi dava la possibilità di esprimermi. Nel 2009, durante una visita della medicina sportiva, mi hanno fatto un elettrocardiogramma (come di routine per le visite medico-sportive) e una prova da sforzo. La dottoressa, appena visionati i risultati, mi ha subito indirizzato a Bologna: è lì che ho incontrato per la prima volta il dott. Ragni: mi ha spiegato molto chiaramente la mia patologia, si chiama “cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva”. Ho compreso che non avrei più potuto fare sport, ma che avrei potuto condurre una vita normale: studiare, camminare, andare in bicicletta, visitare una città, viaggiare”. E così è stato. 
Costanza conduce una vita sotto tutti gli aspetti “normale”, fino al 2012, quando le viene impiantato un defibrillatore sottocutaneo in via preventiva. “I miei dottori mi hanno sempre spiegato tutto, sin dall’inizio: e di loro ho sempre avuto fiducia, mi sono affidata, non ho mai avuto paura. Certo, forse all’inizio sì, ma poi il tempo passa e anche il defibrillatore è diventato parte della mia quotidianità. Per me non era disabilitante. Per il resto ho continuato la mia vita normale, sono stata in Inghilterra a fare volontariato e lì ho incontrato il mio attuale compagno, che vive in Germania. Ho frequentato l’università, a Parma, e mi sono laureata in Storia dell’Arte”. 

La prima scarica elettrica al suo cuore

“Dopo aver terminato tutti gli esami del quinto anno, mi sono dedicata alla preparazione della tesi, mi piaceva molto quello che studiavo e volevo scrivere bene la tesi. Mi ero data delle scadenze ma la stesura procedeva a rilento. Forse in questa bolla di normalità io, ma anche i miei genitori, ci eravamo come “dimenticati” della mia patologia, perché tutto sommato conducevo una vita al pari degli altri. Ho cercato di spiegarmi questa stanchezza dal punto di vista psicologico, pensavo fosse la pressione della tesi, anche i miei coetanei si sentivano così.  
Nonostante la fatica sono riuscita a terminare la tesi, nell’estate del 2019, poi sono andata in Germania a trovare il mio ragazzo e a dicembre mi sono laureata. Il giorno dopo la festa di Laurea, a dicembre, il defibrillatore ha inviato la prima scarica elettrica al mio cuore: mi sono accorta che qualcosa stava accadendo, mi sentivo svenire, al mio ragazzo ho detto “non ti preoccupare, ho il defibrillatore”. 
Costanza con estrema calma, razionalità e lucidità mi racconta ogni singolo dettaglio del suo percorso di cura, che viene sempre “condito” da quelle due parole: “ero tranquilla”. 
“Qualcosa stava cambiando dal punto di vista clinico” prosegue Costanza.
“A gennaio del 2020 ho fatto il mio primo cateterismo, nel mentre ho continuato con i miei progetti, mi sono trasferita a Modena in una famiglia tedesca per dare loro aiuto con i bambini. Improvvisamente, però, ho iniziato a stare male. E’ stato tutto velocissimo, sono comparsi i primi sintomi dello scompenso cardiaco. Il mio corpo mi ha fatto capire chiaramente che qualcosa non andava e di nuovo ho avuto una scarica elettrica al cuore con il Dae. Sono stata ricoverata in Ospedale e nel frattempo è arrivato il Covid. Ricordo ancora quando sentii mia mamma al telefono e lei, che era insegnante, mi comunicò che le scuole stavano chiudendo per il virus. Quando mi hanno dimesso sono tornata a casa ma continuavo a sentirmi molto stanca, stavo quasi sempre a letto. Abbiamo anticipato il controllo al Sant’Orsola e lì mi hanno ricoverata”.

La notizia: serve un trapianto

Sono gli inizi di aprile anno 2020, uno dei momenti più drammatici a causa della pandemia, e Costanza riceve la notizia dai medici: dovrà intraprendere la strada del trapianto cardiaco
“Quando mi hanno comunicato la notizia del trapianto c’erano anche i miei genitori: nonostante il lockdown hanno dato loro l’autorizzazione per incontrarmi. Ricordo che erano tutti in cerchio, in camera, insieme ai medici c’era Sara, la psicologa dell’associazione Piccoli Grandi Cuori”. 
Costanza è una persona molto riservata e comprendo che è davvero un’altra grande sfida per lei raccontare il suo percorso di cura. 
“Dopo che i medici mi hanno comunicato la notizia ho detto “facciamo quello che bisogna fare”, dopodichè i miei genitori sono tornati a casa: a causa della situazione sanitaria non potevano restare con me, ma è stato comunque molto importante farli venire per quel momento così delicato. Quando sono andati via ho parlato tanto con Sara, la psicologa: è stato un momento molto difficile, ma avere lei a fianco mi ha aiutato molto, potermi affidare a lei è stato importante. In quel momento la mia testa era confusa, avevo paura, avevo bisogno di una persona che mi dicesse le parole giuste. Mi sono affidata a lei”. 
La notizia del trapianto è una notizia che sconvolge, e che coinvolge una parte emozionale molto importante nel paziente e nei suoi familiari. 

Costanza inizia il suo percorso di screening, avanti e indietro per i reparti e i padiglioni del Policlinico di Sant’Orsola. per fare i controlli e verificare l’idoneità al trapianto cardiaco. Le sue giornate, come mi racconta, scorrono via veloci e condite da tanta musica e da tanta, tantissima stanchezza. 
Terminato lo screening viene dimessa e ritorna a casa. Siamo ancora in pieno lockdown. Quell’atmosfera surreale in cui noi tutti abbiamo vissuto, è per lei quasi “un conforto”. 
A giugno 2020 si fanno sentire le prime fibrillazioni e Costanza ritorna in ospedale: entra ufficialmente in lista trapianti. Ad agosto il nuovo ricovero: da quel momento passeranno nove mesi in cui Costanza resterà fissa in ospedale. 

Il sostegno psicologico

“Tutti i giorni – racconta – avevo un consulto con Sara  o Franca. Abbiamo prima di tutto lavorato sull’accettazione della situazione: facevo fatica anche a leggere dalla stanchezza, mi arrabbiavo perché non riuscivo a fare le cose che volevo. Con il mio ragazzo riuscivo a parlare della situazione e anche a scherzarci su, ma con le altre persone no. Le psicologhe mi hanno aiutato anche in questo: a gestire la relazione con i miei compagni di stanza, con i medici, con i miei genitori. Facendomi sempre sentire libera: tutti i giorni passavano, ma prima di parlare mi chiedevano se ne avessi voglia”. 
L’ultimo ricovero prima del trapianto è stato per Costanza il momento più complesso di tutti: “A differenza delle altre volte sapevo che non sarei più tornata a casa per molto tempo e che i miei genitori a causa del Covid non sarebbero potuti stare a lungo con me”. Quando aspetti un cuore nuovo, non sai mai se e quando potrà arrivare. 
“Ricordo che i primi giorni non avevo nulla con me, solo le cuffiette per la musica. Poi Franca tramite i volontari dell’associazione mi ha fatto avere due libri, un bellissimo volume su Leonardo da Vinci con i bozzetti dei disegni delle sue macchine e un libro illustrato sugli alberi. Mi limitavo a guardare le immagini, perchè i testi non riuscivo a leggerli.
I miei genitori venivano a turno, una settimana l’uno, una settimana l’altro: quando uno dei due era fuori dall’Ospedale, trovava accoglienza al Polo dei Cuori. Anche in questo l’associazione è stata importantissima: al Polo avevano la cucina, dove dormire, dove riposarsi. Al Polo è rimasto per un po’ di tempo anche il mio fidanzato quando dalla Germania è venuto a trovarmi. Quando mamma o papà venivano da me in reparto, si portavano dietro qualcosa da fare: mio padre ad esempio dipingeva, insieme abbiamo fatto il gattone. Piccoli Grandi Cuori è una famiglia, a tutti gli effetti”. 

L’arteterapia per liberare le emozioni

Disegno arteterapia Costanza

L’arte, la passione di Costanza, è ciò che insieme alla musica la accompagna e la sostiene. Mentre chiacchieriamo mi mostra entusiasta e orgogliosa i lavori che ha realizzato durante i laboratori di arteterapia con Enrica, un’altra psicologa dello staff. I colori sono spesso il blu e il rosso, quelli che indicano i flussi sanguigni nell’ecocardiogramma-colordoppler. “Sono stati momenti importanti, per liberare il gesto, in quei pochi minuti in cui riuscivo ad applicarmi. Tutti i lavoretti che facevamo li attaccavo nella parete della stanza, che diventava colorata: ai medici e agli infermieri piaceva entrare e vederli”. 

In mezzo ai disegni colorati che Costanza mi mostra spuntano anche due creazioni che ha realizzato durante i laboratori con i ritagli delle riviste: uno, in particolare, che Costanza ha realizzato prima del trapianto, colpisce la mia attenzione. Raffigura il torace “appeso” di una ragazza, al cui interno un mostro ne divora il cuore tenendolo in mano come se fosse qualcosa di succulento da divorare. E’ un’immagine molto forte, che inevitabilmente mi colpisce. 

Un cuore nuovo per Costanza

“Ricordo che era pomeriggio, stavo facendo merenda: ero con mio papà e c’era anche Enrica. Non mi sono illusa: su questo ero preparata, avevo letto bene l’opuscolo informativo sul trapianto e parlato a lungo con le psicologhe. Ti prepari per mesi alla speranza di ricevere quella notizia, e quando arriva sei pronto. E’ entrata Damina, l’infermiera, e dopo una mezz’oretta sono arrivati i medici. La prima cosa che ti dicono è di smettere di mangiare. Poi mi hanno controllato tutti i parametri e alla sera tardi mi hanno detto che il trapianto si poteva fare. Il 9 marzo 2021 ho ricevuto il mio nuovo cuore.
Prima del trapianto ero solo stanca: avevo dolore, ma non sapevo localizzarlo. Non è come quando hai mal di pancia, o mal di testa. Dopo il trapianto finalmente ho iniziato a sentire qualcosa. Ero contenta di sentire la ferita, perché quella ferita significava una nuova vita per me. Sentivo il mio cuore pompare bene, ad un ritmo costante: finalmente, il fantasma che prima avevo dentro di me, non c’era più. Appena mi sono ripresa, io e mia mamma abbiamo comprato su internet questo abito che indosso: bianco, perché è il colore che rappresenta un nuovo inizio”.

La nuova vita e la ricerca di un lavoro

Quando ho incontrato Costanza mi sono accorta che aveva con sè un sacchetto: nella mia più totale ignoranza ho pensato fossero medicine. Mentre si conclude la nostra chiacchierata, lei apre il sacchetto ed estrae tanti piccoli mattoncini, che riversa sul tavolo che ci separa. Ciascuno di questi mattoncini corrisponde ad una settimana trascorsa in Ospedale: li ha realizzati, uno ad uno, durante il suo lunghissimo ricovero. 
“Rappresentano il tempo che passa: mi piace l’idea che l’arte non sia solo figurativa ma possa anche essere la rappresentazione del tempo che passa. Prima o poi, vorrei fare un’installazione con tutti questi mattoncini. Oggi conduco una vita normale: mi sento bene e spesso mi ripeto che non devo per forza fare le cose che faceva prima. Cammino, pratico yoga, se volessi, potrei anche correre. Certo, mi stanco, ma è una stanchezza genuina. Sono invalida civile: al momento non lavoro e il mio progetto di vita è quello di andare in Germania dal mio fidanzato che raggiungerò a breve per trascorrere insieme a lui l’estate. 
Ho scoperto la mia cardiopatia, oggi so quali sono i miei limiti e anche i miei diritti. Ho diritto di essere una invalida civile, ho diritto di avere un lavoro: vorrei lavorare in un museo e aiutare nella gestione di una Collezione d’arte”.