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Gaetano Gargiulo, una vita dedicata alla cardiochirurgia pediatrica
Il Prof. Gargiulo saluta la Cardiochirurgia pediatrica di Bologna dopo oltre 40 anni. Ha contribuito a renderla tra i centri più all’avanguardia d’Europa
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Nei suoi quasi nove lustri di attività ha curato migliaia di bambine e bambini nati con una cardiopatia congenita, eseguito oltre 7 mila interventi cardiochirurgici, scritto più di 170 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali. E al suo fianco, per un certo pezzettino del suo percorso professionale, ci siamo stati anche noi, l’associazione Piccoli Grandi Cuori.
“Una persona elegante, lungimirante, attenta ai bisogni delle persone al di là dell’aspetto clinico”: così lo descrive la nostra presidentessa, Paola Montanari.
Abbiamo incontrato il prof. nel suo studio, per raccogliere qualche frammento della sua professione che ha fatto la storia della Cardiochirurgia pediatrica a Bologna.
Chi è Gaetano Gargiulo
“Ho iniziato a fare il cardiochirurgo nel 1979, per la prima volta al Policlinico di Sant’Orsola di Bologna dove poi sono rimasto per sempre. Nel 1994 sono diventato responsabile dell’attività di Cardiochirurgia pediatrica presso l’Istituto di Cardiochirurgia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria S.Orsola-Malpighi di Bologna, poi direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiochirurgia Pediatrica e dell’Età Evolutiva nel 2002″.
Nel 2005 il prof. Gargiulo diventa professore associato presso l’Alma Mater Università degli Studi di Bologna e poi professore ordinario di Cardiochirurgia. Ha scelto la città di Bologna perché, come ci racconta, era ed è la sede di una delle più importanti Università non solo in Italia ma anche nel mondo e ha scelto la cardiochirurgia perché era una specialità ancora giovane nella storia della medicina, a quei tempi presentava tantissime aree di sviluppo legate anche al progresso tecnologico.
“Ero affascinato dall’idea di poter aiutare i piccoli pazienti con tecniche innovative ed in continua evoluzione. La Cardiochirurgia, come branca chirurgica, è nata con la cura delle cardiopatie congenite, quindi era molto stimolante affrontare ogni giorno nuove sfide, conoscere i segreti delle cardiopatie congenite e poter dare delle speranze sempre più concrete ai piccoli pazienti nati con una cardiopatia congenita che magari fino a pochi anni prima non potevano essere curati”.
La cardiopatia nasce insieme al bambino
“Le cardiopatie congenite, per un cardiologo, per un chirurgo sono affascinanti. La cardiopatia nasce insieme al bambino, nasce con la formazione embriologica del cuore e c’è uno sviluppo durante tutte le tappe della vita fetale. Conoscerle, diagnosticarle prima della nascita può cambiare radicalmente il trattamento e condizionare il risultato e la vita futura del bambino. “La mia generazione ha avuto la possibilità di iniziare il trattamento delle cardiopatie congenite complesse e di osservare poi i benefici apportati.
Quando sono arrivato al Sant’Orsola venivano trattate in Cardiochirurgia solo poche cardiopatie congenite nei ragazzini o pazienti adulti, ma il prof. Pierangeli aveva da sempre capito che c’era la possibilità di un forte sviluppo della cardiochirurgia pediatrica. Quindi dagli inizi degli anni ’80 abbiamo iniziato ad interessarci della cura delle cardiopatie congenite anche grazie ai contributi di giovani professionisti che avevano completato la loro formazione in Centri esteri specializzati sulla cura dei bambini cardiopatici e parlo del prof. Picchio e Bonvicini che erano stati a Londra, del dott. Zannini che aveva completato il suo percorso di formazione a Parigi e del dott. Galli”.
La cardiochirurgia pediatrica a Bologna
“Quando ho iniziato questa avventura insieme al dott. Galli ed al dott. Zannini ancora non esisteva la cardiochirurgia pediatrica: eseguivamo interventi solo su alcune cardiopatie congenite meno complesse. Poi nel 1983 è stata istituita l’Unità operativa di Cardiologia Pediatrica con un Reparto, di soli 8 posti letto, in uno spazio di circa 200 metri quadrati.
Nello stesso tempo sono stati identificati degli spazi dedicati in Cardiochirurgia. Successivamente si è costituita un’Unità operativa complessa di Cardiochirurgia Pediatrica e dell’età evolutiva. Nel tempo le cose sono cambiate ed oggi abbiamo uno dei Centri più all’avanguardia d’Europa“.
Oggi, grazie al lavoro del prof. Gargiulo e la sua équipe, la Cardiochirurgia Pediatrica e dell’Età Evolutiva si pone come riferimento a livello nazionale ed europeo per numero di pazienti trattato e qualità dei risultati ottenuti. È uno dei primi tre centri nel Paese per la cura delle patologie cardiache nei bambini e nei pazienti adulti con cardiopatia congenita.
I numeri parlano da soli. Presso la Cardiologia e la Cardiochirurgia pediatrica dell’IRCCS Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola ogni anno vengono visitati circa 9.000 piccoli pazienti provenienti da tutto il Paese ed eseguiti 350 interventi di cardiochirurgia. Numeri che fanno del Policlinico di Sant’Orsola uno dei primi 3 centri nel Paese per la cura delle Patologie cardiache nei bambini. Nel 2023 la Cardiochirurgia pediatrica ha eseguito 9 trapianti di cuore nei bambini con cardiopatia congenita, quasi il doppio rispetto alla media abituale. (Fonte: IRCCS)
“Bambini che per la gravità della cardiopatia rischiavano di morire, e che avevano come unica soluzione il trapianto cardiaco. Molti di loro, in attesa di un organo compatibile, hanno vissuto in reparto insieme con la i genitori, con l’aiuto di un “cuore artificiale”. Il trapianto ha permesso loro, non solo di tornare a casa, ma ricominciare una “nuova vita”.
L‘eleganza del gesto chirurgico
Chi è cresciuto e si è formato con il prof. Gargiulo, racconta di essersi innamorato della sua eleganza nel gesto chirurgico, in sala operatoria.
“Sono nato sotto la guida del prof. Pierangeli, che era un vero esteta del gesto chirurgico oltre che della precisione e dell’efficacia. La chirurgia è come dice la parola stessa, dal greco χείρ, mano e ἔργον, opera, è un lavoro manuale, dove oltre alla conoscenza serve un allenamento continuo. È un po’ come ricamare, fare dei lavori all’uncinetto o al tombolo. La precisione, la velocità, del gesto chirurgico possono condizionare il risultato finale.
Ma certamente un gesto elegante può completare l’opera del chirurgo anche per affascinare i giovani medici che si affacciano ad una chirurgia molto complessa. Per noi chirurghi la sala operatoria è la parte centrale della nostra professione, è qui che si pongono le basi per avere dei buoni risultati, ma il risultato finale di una cura dipende da tantissimi professionisti che lavorano attorno al paziente: infermieri, tecnici della perfusione, anestesisti-rianimatori, cardiologi e chirurghi”.
La sanità non si fa da soli
“La sanità pubblica ha bisogno dell’apporto di tutti ed il prendersi cura del paziente è un processo complesso che coinvolge una miriade di attori, le Associazioni sono parte integrante della nostra sanità e del processo di cura.
Piccoli Grandi Cuori è stata costruita e pensata insieme alle famiglie dei bambini che avevano bisogno di essere curati. Avevamo bisogno di un’associazione che “corresse” insieme con noi, che partecipasse in modo attivo alla vita del reparto, che fosse di supporto per chi si trova ad affrontare un’esperienza così particolare e complessa.
È stata ed è tutt’ora di fondamentale importanza, non solo per il supporto psicologico e socioassistenziale gratuito che offre, ma anche per il sostegno che dà in termini di accoglienza nelle strutture che ha in gestione come il Polo dei Cuori. Con la creazione di questa casa di accoglienza si va “oltre” i servizi che un’associazione può offrire.
Ora più che mai la sanità pubblica ha bisogno di questo, noi come medici facciamo fatica ad occuparci degli aspetti psicosociali che per le famiglie sono molto importanti, basti pensare al bisogno di alloggio delle famiglie e dei pazienti che arrivano da fuori Regione. Questa esigenza è ancor più forte nel caso dei familiari di bambini che hanno un cuore artificiale e sono in attesa di trapianto di cuore.
E non dimentichiamo il contributo che Piccoli Grandi Cuori offre per rendere sempre più accogliente e “normale” la vita dei bambini nel periodo di ricovero con la creazione di spazi a misura di bambino e l’aiuto che ci fornisce per l’acquisizione di dispositivi e apparecchiature medicali tecnologicamente all’avanguardia”.
Quel disegno che diventò un logo
“Ricordo che nel 1997, nel corso di una riunione pomeridiana, mentre discutevamo di quale potesse essere il ruolo dell’associazione Piccoli Grandi Cuori, ho disegnato questi omini con il cuore in primo piano, con un effetto particolare che già allora desse l’idea del valore aggiunto dei nostri servizi: curare i bambini che poi diventano adolescenti e adulti.
Le famiglie presenti a quella riunione hanno visto il mio schizzo e hanno deciso di farlo diventare il logo dell’associazione. Sapevamo già che, oltre alla qualità della cura, dovevamo lavorare sulla durata del percorso di cura che nel caso del cardiopatico congenito è per tutta la vita.
Non potevamo interessarci solo dei bambini cardiopatici, ma anche della bambina o del bambino che sarebbe diventato adulto. Basti pensare alle bambine che diventando donne affrontano situazioni come la gravidanza, che per tutte rientrano nella normalità di essere donna, ma nel caso di bambine con una cardiopatia congenita possono rappresentare un problema che deve essere affrontato insieme con tutti gli specialisti. Naturalmente ci sono tante altre situazioni che coinvolgono tutti gli aspetti della vita sociale anche perché il paziente cardiopatico congenito cresce e sviluppa bisogni particolari. Per questo è importante continuare a seguire queste persone”.
L’emozione della festa annuale
“È molto bello, ogni anno, poter partecipare alla festa dell’associazione. In queste occasioni incontriamo molti dei pazienti che abbiamo curato, con alcuni di loro si creano rapporti molto intensi. Rappresentano un momento di crescita e di confronto anche per tutti i professionisti del nostro gruppo. Rivedere i pazienti al di fuori dai confini del reparto, dell’ospedale, rivederli in momenti di festa è molto emozionante. Ti rendi conto veramente a cosa sia servito l’impegno duro, continuo di tutti noi.
Vedere che quella bambina, quel bambino, che erano così piccoli, fragili quasi indifesi al confronto con la malattia, crescere e diventare adulti, che conducono una “vita normale” ti restituisce un’idea concreta del lavoro pesante che svolgi, che richiede impegno continuo, e che a volte riserva anche brutte sorprese e grandi dolori”.
Chi è oggi la persona con cardiopatia congenita?
“È il bambino, la bambina che nasce con una cardiopatia congenita ma è anche l’adulto che arriva ad avere una vita quasi normale nonostante la patologia. La cardiochirurgia pediatrica deve prendersi cura di tutti questi pazienti che vanno dall’infanzia all’età avanzata. Solo al Sant’Orsola sono 600 i pazienti adulti (ACHD, GUCH) provenienti da tutta la Penisola seguiti ogni anno: per questi pazienti, oltre all’attenzione per la loro condizione di salute, è necessario sviluppare programmi specifici che riguardano tutti gli aspetti della vita, dalla gravidanza all’attività sportiva a quella ludica e lavorativa. E anche se, nel tempo, la qualità della vita di queste persone è migliorata in modo significativo, non possiamo dimenticarci dei loro bisogni ed è fondamentale avere sul territorio una rete in grado di prendersi cura di questi pazienti.
La realtà del cardiopatico congenito adulto è una molto complessa, in rapida espansione: sono milioni i pazienti che vivono con una cardiopatia congenita ed è una popolazione che incide anche in maniera significativa sul costo della sanità pubblica. Questi pazienti hanno diritti, che devono essere rappresentati, hanno problematiche sociali, che devono affrontare, nel lavoro come nella vita personale: basti pensare ad un paziente con cardiopatia congenita che vuole guidare un autobus o un aereo. La società se ne sta rendendo conto, ma ci vuole più attenzione e noi in Emilia-Romagna lo stiamo facendo, abbiamo costruito con l’aiuto dell’Agenzia Sanitaria Regionale, una rete in modo che tutti i pazienti vengano accolti e curati e nessuno di loro si possa perdere nei buchi del sistema sanitario”.
L’importanza della relazione con il paziente e la famiglia
“Se in tutti questi anni di professione, in cui ho insegnato, c’è qualcosa che ho anche imparato? Che al di là dell’aspetto tecnico, sicuramente sempre da migliorare, è molto importante la relazione, con il paziente e con la famiglia: in un percorso di cura si crea inevitabilmente un legame e questo è importante ma in alcuni casi può diventare un grosso problema per il medico che dovrebbe rimanere distante rispetto al coinvolgimento emotivo.
Parliamo molto spesso di bambini e di malattie molto complesse, con rischi che non sono trascurabili. E poi ho imparato tanto dalle famiglie che hanno una grandissima dignità nell’affrontare una condizione molto complessa. Per le famiglie noi stendiamo quel filo immaginario che divide la felicità dal dolore e loro ci affidano quello che hanno di più caro e noi dobbiamo prenderci cura con umiltà delle loro aspettative e delle loro speranze. Ecco l’umiltà credo sia indispensabile per fare questa nostra professione”.
Prof. Gargiulo va in pensione. Ora spazio a Gaetano
Il prof. Gargiulo, insomma, va in pensione. Cosa farà adesso?
“Il distacco non sarà semplice, ma non sarà un momento triste, piuttosto di riflessione. Se volgo lo sguardo al passato e ripercorro la strada che abbiamo fatto, se penso a quante cose abbiamo costruito, mi sento molto sereno, appagato e felice.
Certo non è stato semplice e certamente facile muoversi tra “gli ostacoli del cuore”, ed accanto a tanti successi abbiamo affrontato anche momenti di delusione che ci hanno dato comunque la forza di cercare sempre di far meglio.
In realtà, sogno di fare quello che in questi 45 anni di attività non ho avuto tempo di fare, in primis, dare tempo e spazio alla mia famiglia che è stata “sacrificata” in modo importante. Penso ai miei figli Anna e Giacomo e a mia moglie Claudia. Sono stato fortunato perché loro, in particolare Claudia, hanno sempre compreso che tipo di impegno comportasse la mia professione. Abbiamo vissuto per lungo tempo in due città diverse, lei con i bambini in provincia di Mantova, dove era il medico del paese, io a Bologna.
Ricordo la tristezza del pianto dei bambini quando alla fine del week end tornavo a Bologna, ma ho sempre spiegato loro che tutto questo era necessario perché c’erano dei bambini meno fortunati rispetto a loro ed avevano bisogno del nostro aiuto per poter avere una vita come tutti i bambini”.